Perché lo sponsor dell'Arsenal è un problema Il rapporto tra l'Arsenal e il Rwanda dovrebbe far riflettere il mondo del calcio

Non è un mistero che la Premier League sia il campionato più ricco del mondo. Un primato dovuto a diversi fattori, non ultimo i contratti di sponsor sulle maglie delle squadre, che generano un utile da 281.8 milioni di sterline, circa 310 milioni di euro: una somma spaventosa, non esente da critiche. Sono infatti ben nove i club di punta che hanno impresso sulle proprie casacche sponsor legati al mondo delle scommesse, un fatto non passato inosservato ai laburisti che vorrebbero vietare, tramite una proposta di legge, questo tipo di rapporti commerciali, considerando le “scommesse come il tabacco”. Sarebbe interessante capire qual è la posizione del capogruppo laburista Tom Watson, firmatario della proposta, circa uno sponsor che non ha a che fare con le scommesse, ma che è decisamente molto particolare e non meno controverso, essendo fornito da un supporter dell’Arsenal molto speciale: Paul Kagame, il presidente del Ruanda. Kagame non ha mai nascosto di essere un accanito tifoso della squadra londinese, anche criticando apertamente negli anni l’operato di Arsene Wenger: è proprio a partire dal “primo anno dopo Wenger” che Kagame ha stretto un serio rapporto fra la sua squadra del cuore e il suo paese. Al debutto della squadra lo sleeve sponsor sulle maglie dell’Arsenal ha difatti lasciato confusi e sbalorditi in molti: una striscia rosa salmone, su cui campeggia lapidaria la scritta “Visit Rwanda”.

Tutto questo per dire che, se l’organismo a cui ogni squadra di calcio professionistica deve rendere conto detta questo tipo di esempio, non è proprio fantascienza che anche i singoli club prendano alla leggera andarsi ad invischiare in rapporti del genere. L’Arsenal non è neanche il primo top club del mondo a farlo, ma il suo caso è senza dubbio particolare. Non si capisce infatti cosa dovrebbe ottenere la società dall’accordo, dal momento che il movente economico regge solo in parte; un club così importante, del campionato più seguito del mondo, non avrebbe fatto fatica a trovare un altro sponsor disposto a sborsare quelle cifre, se non maggiori. Paradossalmente l’unica spiegazione che al momento sembra reggere è quella della pura passione sportiva da parte di Kagame, che affascinato dall’idea di lasciarsi coinvolgere nella vita commerciale della proprio squadra ha deciso di investire una somma enorme per un paese così piccolo e povero. Proprio questo è l’altro grande problema, per cui sulla graticola è invece finito il presidente del Ruanda: come si può pensare che sia una mossa giusta quella di investire trenta milioni di euro per sponsorizzare una squadra inglese, quando più della metà del tuo popolo vive in estrema povertà? (Mediamente un cittadino ruandiano vive con circa una sterlina al giorno). La risposta del governo è arrivata univoca da più parti: più turismo significherà più fondi da investire nella lotta alla povertà. Si è esposto in particolare il capo del dipartimento dello sviluppo, Clare Akamanzi, sempre attraverso Twitter, strumento incredibilmente usato dai politici del paese, in primis dal suo presidente.

Una motivazione che fa molta fatica a reggere e sembra nascondere la volontà del leader del Ruanda di normalizzare sempre più il proprio paese agli occhi della comunità occidentale (da qui ad esempio anche il compulsivo utilizzo dei social), operazione già in parte riuscita vista l’ottima considerazione che alcuni capi di stato riservano a Kagame. Non quindi una sincera volontà di accrescere lo sviluppo economico e le condizioni sociali della propria gente, ma un guadagnare punti in campo internazionale per continuare a fare i propri comodi; la posizione dell’Arsenal che si presta a questo meccanismo senza colpo ferire diventa quindi ancora più grave. Per ora questa partnership va ad unirsi a tutta una sfilza di rapporti poco chiari e abbastanza discutibili, come quelli di cui sopra che riguardavano la FIFA, ma a cui si possono aggiungere anche altre due (solo per citare le più in vista al momento) società straordinariamente famose, quale il Manchester City, di proprietà dell’Abu Dabhi United Group, e il Paris Saint Germain, della Qatar Investment Authority: club che hanno riversato sul mercato una quantità spaventosa e sregolata di soldi, senza quasi nessuna regolamentazione a limitarne le azioni. Ora come ora, riprendendo il discorso giustamente fatto dall’Independent, l’apatia morale la fa da padrona, e nessuno di noi si pone troppe domande in merito a tutto ciò, fin quando nelle nostre case arriva puntuale la partita che stavamo aspettando; di certo c’è che ormai il mondo del calcio sembra essere sempre più anestetizzato, pesantemente drogato da flussi di denaro e accordi commerciali di vario tipo che lo stanno forse portando ad un punto di non ritorno, a livello morale come a livello economico e di legislazione internazionale. Noi che siamo l’ultima ruota di questo pesantissimo carro, possiamo solo fare in modo di non lasciare che le notizie ci passino sopra la testa, ma rimanere informati e farci domande, anche se scomode: ad esempio se sulle maniche della nostra squadra del cuore compare all’improvviso il messaggio turistico di un paese controllato a vista dalla comunità internazionale in merito ad argomenti come la tortura, l’oppressione politica e culturale, l’anti-democraticità del suo governo e la possibile complicità del suo presidente totalitario con un genocidio del paese limitrofo.