Come Nike, adidas e Puma stanno reagendo allo stato di emergenza Essere un big brand sportivo ai tempi del Coronavirus

Il COVID-19, identificato per la prima volta alla fine dell'anno scorso a Wuhan, in Cina, è stato il tema dominante e trasversale che ha coinvolto dirigenti e investitori che volevano sapere quale impatto avrebbe avuto il virus sui loro dati finanziari e soprattutto sulle pubblicazioni degli utili aziendali, che solitamente vengono ufficializzati tra dicembre e il gennaio dell’anno seguente. Mentre parliamo ci sono già stati 101.000 casi di coronavirus e più di 3.400 morti, motivo per cui molte aziende sono ormai obbligate a rivedere i propri piani, considerando l’effetto che il virus sta avendo a partire dalle catene di produzione fino al consumatore di ogni regione del mondo. 

Se per le aziende italiane è ancora troppo presto per valutare, a livello economico, il tragico impatto che questo lungo stop potrà avere, i più grandi brand di abbigliamento sportivo al mondo come Nike, adidas e Puma, hanno invece già avuto modo di toccare con mano un grandissimo calo delle vendite, soprattutto per quanto riguarda il mercato orientale, dove il coronavirus ha già raggiunto il suo punto massimo di espansione verso la fine del 2019. adidas, così come Puma, realizzano quasi un terzo delle sue vendite in Asia, che negli ultimi anni ha rappresentato un importante mercato in crescita per l'industria degli articoli sportivi. A peggiorare la loro situazione c’è anche il fatto che la Cina è anche il principale paese di produzione per entrambe le società.

Nike, invece, fa caso a sé: quasi due settimane fa invece la sede europea a Hilversum, Paesi Bassi, è rimasta chiusa due giorni a causa di un dipendente risultato positivo al covid-19. L'intero headquarter, dove lavorano circa 2 mila dipendenti provenienti da 80 Paesi, sarebbe stato disinfettato durante la notte ma nonostante ciò a partire dal 28 febbraio le autorità sanitarie olandesi hanno segnalato altre 10 infezioni da coronavirus. Nike, che nel frattempo ha registrato un -4,90% sul mercato azionario ed una perdita pari a 17 miliardi di dollari, ha chiuso circa la metà dei suoi negozi in Cina e lasciando aperti in orario ridotto quelli rimanenti, registrano comunque un traffico al dettaglio inferiore alle aspettative. Si tratta di un buco non indifferente, visto che il mercato asiatico ha portato al brand di Beaverton 800 milioni di dollari all'anno, negli ultimi quattro anni.

''Le dinamiche continuano a evolvere e noi, a seconda di come si svilupperanno, daremo aggiornamenti sugli impatti operativi e finanziari sul bilancio del terzo trimestre'', ha dichiarato John Donahoe, presidente e CEO dell'azienda, proseguendo ''A breve termine prevediamo che la situazione avrà un impatto devastante sulle nostre operazioni in China. Tuttavia, il marchio e il suo slancio commerciale nei confronti del consumatore cinese rimangono forti, come dimostra la continua crescita nelle attività digitali''.

Nike ha anche posticipato molti dei drops previsti (che comprendevano due colorways di Air Jordan 5, una Air Jordan 4, una 11 low, una 6 e una 13) a partire dal 25 aprile fino almeno al di 30 maggio, facendoci presumere che il miglioramento della situazione che ci coinvolge potrebbe non avere un breve corso, portando così Nike ad avere una prospettiva di magazzini pieni con un conseguente blocco temporaneo della produzione.