
Perché il 2020 è stato l'anno di PUMA 3 motivi per cui l'azienda tedesca è lo sport brand dell’anno
Quando nel 2016 PUMA era uscita dalla Fab 40 di Forbes - la classifica dedicata ai brand di maggior valore in ambito sportivo - il suo destino sembrava quasi segnato. La forza che il brand tedesco ha ritrovato nel giro di 4 anni è stata superiore alle previsioni. Oltre a rientrare nella classifica lo scorso anno, rimanendo dietro solo Nike, ESPN, adidas, Gatorade e Sky Sports, PUMA ha sviluppato strategie che hanno contribuito a far diventare l’azienda di Herzogenaurach una delle più in crescita di questo 2020. Il covid-19, per certi versi, ha funzionato da acceleratore sotto tanti punti vista: secondo Business of Fashion, il brand ha rettificato un +20,7% e +17,7% nelle vendite rispettivamente nel mercato USA e nel mercato europeo, portando il fatturato del primo quarto di 2020 oltre le previsioni (1.58 miliardi contro i 1.56 miliardi previsti). Una crescita che, nonostante il periodo, ha portato nelle casse tedesche un utile di 190 milioni di euro, migliorando di 16 milioni le stime.
In quasi tutti i settori chiave delle società moderne, vige una legge non scritta che può essere applicata con lo stesso significato: when in trouble, go big. Non esiste una traduzione che renda giustizia a questo concetto, ma sintetizzando il tutto si può dire che nel momento di massima difficoltà, solo chi ha il coraggio di rischiare trasforma complicazioni in opportunità. Ed è quello che ha fatto PUMA in questo 2020, a differenza dei competitor che hanno optato per altre strade. Nike sta attuando strategie che non mettono più al centro dei progetti singoli volti ma intere comunità, ragionando per key city e non più per key player. Ragionano in maniera ancora diversa a Stoccarda, HQ di adidas. Le three stripes stanno spostando il focus sempre più sull’arte e sugli artisti, sfruttando le loro personalità e le loro creatività per collabo sempre più trasversali.
La nuova generazione si collega anche alla nuova rapidità di esecuzione e decisione del management di PUMA. In un’intervista rilasciata a L’Equipe, il CEO dell'azienda Bjorn Gulden ha svelato alcuni retroscena sull’accordo economicamente più importante della storia degli endorsement sportivi e tra questi c’è proprio il concetto di velocità decisionale:
"Sono stati suo padre e il suo management a rivolgersi a noi. E, naturalmente, quando il team di Neymar chiama, tu rispondi. [...] Quando il suo entourage ci ha comunicato che probabilmente avrebbe lasciato Nike, abbiamo risposto che saremmo stati lieti di discuterne, ma solo quando il suo rapporto con Nike sarebbe stato definitivamente chiuso. Nel momento in cui ci hanno assicurato che lo era, la trattativa è andata avanti molto rapidamente. Ora prendiamo le nostre decisioni in maniera veloce. Questa crisi causata dal covid-19 ha rivelato chi è flessibile e chi non lo è. L'accordo con Neymar ha sorpreso molto perché la gente non si è accorta che stava lasciando Nike e non si aspettava che PUMA andasse così veloce."
Bjorn Gulen, CEO di PUMA
Nel giro di 30 giorni, PUMA è riuscita a passare dai primi contatti ad uno shooting completo per annunciare la firma di O’Ney. A metà agosto erano iniziate le prime trattative e il 12 settembre la firma del Diez del PSG era sul nuovo contratto.
La forza del marketing e dei social media
La scalata verso le vette di un mercato in continua evoluzione è iniziata ad inizio 2010, quando il nuovo millennio è conciso con una cambio di strategie marketing e comunicazione che hanno cambiato il volto del brand. Nuovo target, nuovo linguaggio e una forma di dialogo con il mercato che per anni ha segnato la differenza tra PUMA e i due colossi Nike e adidas. Nel 2017, però, arrivano i primi importanti risultati: nello studio sull’influenza dei marchi di abbigliamento sui social network di Insightpool, PUMA si è posizionata quarta, dietro a Louis Vuitton, Chanel, Christian Siriano ma davanti ai due competitor principali.
La crescita sui social è stata seguita dall’evoluzione dei contenuti che nelle ultime stagioni è al pari di quelli dello swoosh e delle three stripes. La qualità delle campagne - siano esse dedicate a club o a lanci di nuove collezioni o collaborazioni - è migliorata in maniera direttamente proporzionale alla brand reputation di PUMA. Le idee creative sono legate sia alle radici dell’azienda sia al futuro delle collabo, come dimostrano le collezioni con KidSuper, la partnership con Rhude e il lancio di grandi classici reinventati in chiave moderna. Anche il coinvolgimento social dei giocatori è cambiato nel corso del tempo, come dimostra la lettera di un giovane Neymar in cui racconta il sogno di vestire PUMA per essere come i suoi idoli di infanzia. C’è tutto: l’heritage di un brand storico, gli anni più gloriosi e il futuro che appartiene sempre di più alla star per eccellenza delle nuove generazioni.